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Prima giornata di ritorno e difficile trasferta contro il Pescantina che ha dimostrato nel girone di andata di essere una squadra attrezzata e temibile, perdendo una sola gara per 4 punti contro la capolista Buster. Iniziamo la partita decisi, con una difesa attenta e grintosa, facendo lavorare molto i giocatori avversari che hanno difficoltà a trovare varchi verso canestro. I marcatori sui portatori di palla applicano bene le indicazioni del coach e l’aiuto difensivo funziona a dovere quando le nostre guardie vengono superate dai diretti avversari. In attacco qualche entrata poco decisa, con tiro un po’ approssimativo ci impedisce di realizzare con continuità e rispondere così colpo su colpo agli avversari, ma verso la fine del quarto, stringendo i denti riusciamo a recuperare un minimo break, chiudendo il periodo in parità. La seconda frazione della gara procede sugli stessi ritmi; la difesa continua ad essere aggressiva e a lavorare sui portatori di palla del Pescantina, anche se in più occasioni siamo indotti a fermare fallosamente gli avversari. Arriviamo all’intervallo con tre soli punti di ritardo, ma dopo la pausa lunga iniziano i problemi. Tornati in campo, gli avversari modificano il loro gioco difensivo, applicando lo stesso nostro schema: pressione sul portatore di palla e raddoppi sulle entrate a canestro. In attacco, invece, si adattano alla nostra difesa e iniziano a scaricare la palla dopo aver effettuato i tentativi di entrata in area. Nel contempo la nostra intensità a guardia del canestro comincia a calare: rigidi sulle gambe, siamo sempre in ritardo e perciò incorriamo spesso nel fallo anziché contrastare correttamente gli attaccanti. La maggior efficacia degli avversari al tiro (alcune entrate con realizzazione e fallo subito) e una grande precisione dalla linea del tiro libero consentono al Pescantina di mantenere una buona media di realizzazione. Anche le nostre entrate sono spesso fermate con un fallo, ma i tiri che tentiamo in tali occasioni sono spesso imprecisi, molte volte effettuati con il timore della stoppata; la nostra media dalla lunetta è abbondantemente sotto il 50 per cento e ciò consente agli avversari di iniziare a prendere il largo e chiudere il terzo quarto avanti di 19 punti. L’ultimo quarto non vede la necessaria reazione da parte nostra; l’intensità difensiva rimane bassa e continuiamo a commettere falli, tanto che alcuni nostri giocatori tornano in panchina anzitempo. Si riduce anche la lucidità in attacco: perdiamo palla con passaggi imprecisi subendo qualche contropiede di troppo e produciamo molto poco in fase di transizione non riuscendo più a spingere l’azione verso il canestro avversario dopo aver conquistato il rimbalzo difensivo. A fine gara il divario è forse un po’ troppo pesante, ma ciò non deve togliere il merito agli avversari, che hanno disputato una buona partita dall’inizio alla fine, mentre noi ci siamo progressivamente spenti, giocando di fatto alla pari solo metà della gara. Partite come questa devono però essere utili, anche nella sconfitta, perché danno l’opportunità ai nostri giovani atleti di riflettere su quali errori vengano commessi più frequentemente durante la gara. Non perdiamoci dunque d’animo, ma proseguiamo a lavorare in palestra, durante gli allenamenti, seguendo con impegno e attenzione le istruzioni del coach: solo così saremo in grado di crescere in capacità ed esperienza, per riuscire ad essere competitivi fino alla sirena finale. A conclusione di quest’ ultimo commento del 2012, un augurio a tutti gli atleti, ai genitori, ai tifosi e a tutto lo staff della nostra società per un sereno Natale e un 2013 ricco di soddisfazioni con i colori del Samba !!
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Le Olimpiadi nell’antichità: tra archeologia e storia.
di Giovanni Spini
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Apriva i giochi la spettacolare corsa delle quadrighe, mentre per ultima veniva disputata l’oplitodromia (corsa con l’armatura oplitica). A partire dal 396 a.C., le gare atletiche furono precedute da competizioni fra trombettieri ed araldi; il criterio per giudicare i vincitori era la sola potenza della voce. Incredibile emulo del mitico Stentore fu il megarese Erodoro che vinse la gara dei trombettieri per ben dieci volte consecutive, dal 328 a.C. al 292 a.C.
Alle Olimpiadi erano ammessi solo uomini liberi di stirpe greca che dovevano giurare di essersi allenati per dieci mesi consecutivi (di cui un mese nella palestra di Olimpia) e che non avrebbero commesso scorrettezze durante le gare. Apro una parentesi per spiegare la ragione dell’importanza di essere “di stirpe greca”. Il Peloponneso e le regioni vicine subirono, intorno all’anno mille a.C. un’altra invasione indo-europea dopo quella degli Achei: quella dei Dori. Le tribù doriche (una di queste si chiamava dei Graicòi, da cui il nome romano di Greci e Grecia) ripercorsero la strada degli Achei da nord a sud, sopraffacendo le popolazioni locali, anche se avevano le stesse lontane origini.
La permanenza in questi territori non fu per niente facile, poichè si ritrovarono a dover continuamente combattere per mantenerne il possesso. Da qui la necessità di essere costantemente e nel miglior modo possibile, allenati fisicamente alla guerra, quindi a tutte le prestazioni atletiche ad essa connesse: la corsa, la lotta corpo a corpo, il lancio delle armi, l’uso del cavallo, ecc.. Se aggiungiamo a questo l’importanza dei miti divini nella loro cultura, per cui il vincitore era comunque un eletto, un prescelto degli dèi, che poteva avere il dono della luce solare e non sprofondare nelle tenebre del Tartaro, ne consegue che a coloro che dimostravano di vincere anche nelle competizioni sportive, spettava un destino di gloria sia terrena che dopo la morte. I Greci erano dunque gli eletti e solo a loro spettava di partecipare alle Olimpiadi. Da notare, inoltre, “solo uomini liberi”: le donne infatti non erano ammesse neppure come spettatrici e se vi sono nomi di donne negli elenchi dei vincitori di gare Olimpiche è solo perchè nelle gare ippiche i premi venivano assegnati ai proprietari dei cavalli e non all’auriga o al fantino.
Auriga di Delfi
La corsa dei carri : i carri da corsa erano a due ruote, leggerissimi ed aperti dietro ed erano trainati da due o quattro cavalli; l’auriga indossava una veste bianca detta xystis e guidava, di solito, stando in piedi, ma non mancano esempi in cui lo vediamo seduto quasi “a cassetta”. Nelle quadrighe, la corsa più spettacolare, solo i due cavalli al centro venivano aggiogati, mentre i due esterni erano uniti agli altri da una correggia, che li lasciava più liberi. Determinante era la bravura del cavallo di sinistra poichè doveva guidare gli altri nelle curve intorno alla meta. Perchè la gara fosse equa, un ateniese di nome Cleta inventò una barriera di partenza mobile, disegnata come la prua rovesciata di una nave, con un box per ciascun carro. Gli urti erano comuni, anzi abituali. Una volta in una corsa di 40 quadrighe solo una arrivò al traguardo. Dopo la gara, il proprietario del carro vittorioso veniva incoronato dall’ellanodico con foglie d’olivo intrecciate, tagliate con un’accetta d’oro sopra un tavolo d’oro e avorio e un araldo gridava il suo nome, quello del padre e quello della sua città. Alla 100° Olimpiade, nel 376 a.C., vinse per la prima volta la gara delle quadrighe una donna: Cinisca, sorella di Agesilao, re di Sparta, che si aggiudicò anche l’edizione successiva 4 anni dopo.